VITE PARADISIACHE

A. Vellutello, La prima corona

“Io son la vita di Bonaventura” (Par. 12.127), così si presenta nel Cielo del Sole, l’anima eterna del Doctor Seraphicus, il francescano maestro di teologia, autore dell’Itinerarium mentis in Deo.
Quello che mi ha colpito, anche grazie al recente commento di Roberto Mercuri (Einaudi Tascabili), è proprio il termine “vita” a indicare “la coerenza tra essenza e esistenza”.
E un paio di canti dopo, sarà l’anima del domenicano Tommaso, il Doctor Angelicus, a essere nuovamente chiamata “vita”: “questo ch’io dico, sì come si tacque/ la glorïosa vita di Tommaso” (Par. 14.5-6).
Ma già prima, “vita” era stata definita l’anima di Carlo Martello, nel Cielo di Venere, “E già la vita di quel lume santo” (Par. 9.7).

Cielo dei Sapienti

Insomma, queste anime dell’al di là, appaiono a noi come anime “vive” e “vitali”, anime che dall’altezza dei loro cieli rimandano a noi sempre l’importanza di costruirci la nostra beatitudine “in hac vita“, come scrive Dante (o chi per esso) nell’ Epistola a Cangrande.
E “vita” (lo sa bene Gianni Vacchelli che su questo ha scritto pagine memorabili) è la prima parola in rima di tutto il poema, è l’inizio di un viaggio nel regno dei morti che rimanda sempre alla vita e alla condizione di noi “viventes“.

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Botticelli, anime danzanti nel Paradiso

32 sono le ricorrenze della parola “vita” nella terza cantica.
Vita etterna” è la dolcezza ineffabile della quale gode Piccarda, prima anima a parlare nel Cielo della Luna (Par. 3. 37), una “perfetta vita” “inciela” Santa Chiara tra i petali della Candida Rosa (Par. 3.97).
Giustiniano, imperatore di luce, parlerà di “nostra vita” (Par. 6.124) per descrivere la condizione di tutti i beati. E gli esempi sarebbero molteplici.

La vita è il punto di partenza, la vita è il punto di arrivo. Nelle vertigini delle Stelle Fisse, dopo che Dante avrà brillantemente superato i tre esami sulle virtù teologali, la gioia estatica esploderà in una tra le terzine più belle:

Oh gioia! oh ineffabile allegrezza!
oh vita intègra d’amore e di pace!
oh sanza brama sicura ricchezza!

(Par. 27.7-9)

Solo in una condizione di vita piena, intensa, intera e integrata si può veramente vivere.Le vere vite sono altre.
E questo Dante domanda a noi.
“Ma voi vivete veramente? Si possono davvero definire vite le vostre?”

Il punto è che noi, nel nostro imbarazzante sistema infernocentrico siamo ancora qui a rimpiangere o a vagheggiare le vite disgregate, mozze, incompiute, abortite (direbbe l’amico Antonio Soro) di Francesca, Ulisse e di Ugolino.

Questo è il punto che ci vinse. Questa è l’occasione mancata.

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